La recente sentenza di Cassazione del 21 febbraio 2023, numero 5353, ha contribuito all'assestamento della giurisprudenza sul tema degli accordi tra coniugi separati o divorziati non recepiti nei provvedimenti giudiziari. Questo anche in riferimento alle cosiddette “side letters”, cioè le scritture private mediante le quali i coniugi prendono accordi riguardo all’esecuzione delle disposizioni del giudice sullo scioglimento del rapporto matrimoniale.
Come è noto, almeno fino al 2015, la giurisprudenza di Cassazione è rimasta fermamente ostile rispetto alla possibilità che i coniugi stipulassero, sulla base della loro autonomia privata, accordi riguardanti il regime della loro futura separazione o del loro divorzio. Si trattava di un orientamento fondato sulla concezione pubblicistica del matrimonio, e se vogliamo anche su un certo pregiudizio riguardo alla libertà del coniuge più debole di contrattare sui propri interessi in occasione della crisi della coppia.
Ancora nella sentenza n. 24621 del 2015, la Suprema Corte affermava che “l’accordo tra le parti in materia di regolamentazione delle condizioni di separazione dei coniugi rimane senza effetto, se non trasfuso in un atto sottoposto al giudice per l’omologazione”. A ben vedere, però, in questa pronuncia i giudici hanno iniziato ad aprire la strada verso l’orientamento attuale, riconoscendo che sì, “tradizionalmente gli accordi negoziali in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale”, in quanto la giurisprudenza “perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale”. Tuttavia, sempre secondo detta sentenza, si doveva pure escludere “che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti” e quindi in giurisprudenza si ammetteva “sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale… là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli”.
La stessa chiusura si era riscontrata, almeno fino al 2017, riguardo agli accordi tra coniugi già legalmente separati in vista del futuro divorzio. Fino a quell'anno, ad esempio, la giurisprudenza negava che le parti potessero assumere in via negoziale l'impegno di corrispondere l’assegno di divorzio in unica soluzione. La sentenza di Cassazione n. 2224 del 2017 aveva ribadito il principio secondo cui “gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 cod. civ.”. Il criterio era che non dovesse tenersi conto di detti accordi non solo se essi limitavano o addirittura escludevano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando, pur soddisfacendo pienamente tali esigenze, essi avrebbero potuto in qualche modo forzare il consenso alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Da quell'anno in poi, però, si è registrata una sempre maggiore apertura. Già la sentenza della VI Sezione Penale del 7 febbraio 2020, n. 5236 aveva escluso il reato del quale all’art. 570 bis c.p. nei casi in cui l'ex coniuge inadempiente si fosse avvalso di un accordo con la controparte per ridursi i contributi di mantenimento stabiliti dal giudice. In quella occasione, i giudici hanno modificato il principio base, riconoscendo che “gli accordi privati tra coniugi sulla regolazione degli aspetti patrimoniali del loro rapporto sono validi ed efficaci”.. e che “sono validi sia qualora intervengano prima della sentenza di divorzio sia successivamente per modificare gli accordi assunti in sede di divorzio”.
Secondo il ragionamento svolto in detta sentenza, “va riconosciuta la liceità delle intese economiche raggiunte dalle parti dopo la presentazione della domanda di divorzio, poiché gli accordi si riferiscono ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato: con la conseguenza che tale parametro esegetico debba valere, a maggior ragione, quando la sentenza di divorzio sia già intervenuta e gli accordi tra gli ex coniugi abbiano ad oggetto una modifica delle statuizioni patrimoniali contenute in quella decisione”.
A seguito di questa apertura, poi ribadita in altre decisioni, si sono definiti sempre meglio i limiti con i quali le parti possono disciplinare la cosiddetta fase postmatrimoniale del loro rapporto, mediante interpretazioni o anche deroghe ai provvedimenti giudiziari.
Già con la sopra citata sentenza n. 24621 del 2015 la Corte di Cassazione aveva suddiviso il contenuto dell’accordo di separazione o divorzio in due parti, e cioè quella “necessaria”, attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorzile per il coniuge economicamente più debole”, e quella “eventuale”, cioè relativa alla regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi.
Ora, con la sentenza del 21 febbraio 2023 numero 5353 si è arrivato a precisare i termini con i quali i coniugi possono disciplinare in via pattizia, mediante le cosiddette “side letters” - cioè scritture private collaterali - anche la parte necessaria delle sentenze di separazione e divorzio, purché dette scritture non vadano in aperta contraddizione con principi dell’ordinamento e dell’ordine pubblico.
Infatti, in quest’ultima sentenza si è riconosciuta, in virtù del principio di autonomia consacrato nell’art. 1322 c.c., l’astratta possibilità per le parti di sottoscrivere “side letters” con il solo limite “del rispetto dei diritti indisponibili, non solo per gli aspetti patrimoniali, ma anche per quelli personali della vita familiare”.
Le predette scritture private, quindi, possono anche validamente integrare il contenuto dei provvedimenti separatizi e/o divorzili, ad esempio mediante la modifica della disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento, prevedendo il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l’altro genitore (come riconosciuto dalla Cassazione con la ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5065).
Il contenuto delle predette scritture può anche consistere nell’interpretazione extra-testuale di un titolo esecutivo “purché non sovrapponga la propria valutazione in diritto a quella del giudice del merito” (così già Cass. 5 giugno 2020, n. 10806) e altresì “l’esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione“.
Peraltro, la validità temporale delle statuizioni contenute nelle scritture collaterali, qualora concluse “a latere” del ricorso per separazione, può permanere anche successivamente al divorzio tra le parti.
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