Il principio di paritarietà dei tempi di frequentazione dei figli: conferma della Cassazione.
- Studio Legale Fiorin
- 28 gen 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 7 ott 2022
Importante affermazione di principio della Corte di Cassazione, VI Sezione, che con la Ordinanza n. 1993 depositata il 24 gennaio 2022 ha richiamato espressamente il principio di paritarietà tra i genitori, nell’affidamento dei figli minori delle coppie separate. La Suprema Corte ha infatti ribadito che “il regime legale dell'affidamento condiviso, in quanto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione paritaria dei genitori”. Questo comporta che il giudice possa discostarsi da detto criterio soltanto laddove ritenga che una diversa regolamentazione non paritaria “sia maggiormente confacente al benessere e alla crescita armoniosa e serena del figlio”.
Dunque, nonostante la ricorrenza di numerose decisioni di merito ancora contrarie, la Cassazione ha ritenuto che il principio della paritarietà della frequentazione dei genitori sussista indipendentemente dall’età del figlio, dalle sue condizioni di vita e pure da quelle dei genitori. Qualora occorra discostarsi da questo principio, come spesso accade in virtù di situazioni concrete ostative, ovvero di esigenze legittime dei genitori, è necessario che il discostamento sia motivato, a meno che non fosse stato concordato dagli stessi genitori.
Il criterio è in linea con quanto stabilito dall’Ordinanza di Cassazione del 16 giugno 2021 n. 17222, che pure ha affermato che la regolamentazione dei rapporti del figlio con il genitore non convivente debba essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice, e non possa “avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori”. Infatti, in quel caso la Corte stava pronunciandosi su una situazione affatto diversa, relativa un genitore che aveva arbitrariamente cercato di fare valere le forme di mantenimento diretto da lui adottate come sostitutive dell'obbligo di versamento di un assegno periodico, in precedenza stabilito dal giudice. Si trattava, insomma, del bilanciamento tra i tempi di permanenza del minore con le parti e l'importo dell'assegno di mantenimento, e non della questione della paritarietà di per se stessa. Non si discute, del resto, che il giudice possa discostarsi da quanto voluto dalle parti, se è necessario per garantire al minore la situazione che risulti più idonea a soddisfare le sue necessità.
Questo tuttavia non toglie nulla al principio di paritarietà appena ribadito dalla sesta sezione. Ciò in quanto l'ordinanza in esame, di fatto, ha ribadito anche il principio secondo il quale l'accordo tra i genitori separati, benché non vincolante per il giudice, deve sempre essere rispettato in mancanza di oggettive ragioni contrarie. È vero che, in linea di principio, il giudice – dovendo ispirarsi all'esclusivo interesse morale e materiale dei figli, previsto in passato dall'articolo 155 e ora dall’articolo 337 ter del codice civile – non è mai vincolato dalle richieste avanzate dalle parti, né dagli accordi tra loro intercorsi. Tuttavia, anche se il giudice in materia minorile può legittimamente pronunciarsi ultra petitum, egli deve sempre fornire una motivazione oggettiva ai suoi dettami, laddove si discosti, nell’interesse del minore, a quanto le parti avevano pattuito nella loro autonomia genitoriale.
Diversamente opinando, del resto, se i giudici potessero stabilire di loro iniziativa tempi e modi di frequentazione della prole dei genitori separati, a prescindere da quanto richiesto da questi ultimi, si arriverebbe troppo facilmente a perpetrare ingerenze immotivate nella vita privata delle persone. Al limite, si potrebbe giungere a veri e propri espropri di genitorialità, dal momento che non è ammissibile che si giudichi sul comportamento dei genitori, e finanche sulla loro idoneità, in base al tempo reso disponibile per i figli.
Aleggia ancora nella memoria giuridica la situazione aberrante che molto spesso nel nostro Paese si verificava prima della legge sull’affidamento condiviso, ma anche prima dell’effettivo recepimento del suo spirito da parte dei magistrati: si era detto giustamente, in passato, che un genitore che si fosse spontaneamente reso disponibile a vedere la prole soltanto nei rigidi orari stabiliti dal giudice (in pratica, tante volte, ancor meno dei classici fine settimana alternati con rientro all’ora di cena, senza nemmeno la possibilità di un pernottamento presso la propria abitazione), quello stesso genitore avrebbe potuto essere giudicato trascurante da parte degli stessi giudici che gli avrebbero imposto il regime della separazione.
È tuttora vero che un genitore che tenda a rendersi sistematicamente non disponibile, fino a disinteressarsi del figlio quasi ai limiti dell’abbandono – ovvero, come a volte accade, che tenda a non rispettare gli appuntamenti con il medesimo, senza valide motivazioni – può subire delle penalizzazioni nei giorni e negli orari di frequentazione che verranno stabiliti su ricorso di controparte. Tuttavia, le esigenze di vita e di lavoro dei genitori devono sempre essere tenute presenti dai giudici della separazione: di per sé esse non possono diventare indice di minore idoneità genitoriale. Inoltre, vanno sempre rispettati gli accordi intervenuti tra le parti, laddove entrambi i genitori ritengano le loro intese, nella loro piena autonomia, maggiormente confacenti agli interessi della prole.
Di questi principi è bene che tengano conto, oltre che i magistrati di merito, anche e soprattutto i consulenti tecnici che talora eccedono nel loro compito – in uno sforzo di mediazione che dovrebbe comunque tenere conto della autonomia delle parti nell'esercizio della genitorialità – arrivando a proporre dei calendari di frequentazione dei figli che non tengono conto della volontà dei genitori stessi, nonché delle loro esigenze oggettive di vita e lavoro, che al contrario dovrebbero essere sempre rispettate.
Nel caso di specie si trattava di una decisione del Tribunale che, secondo il ricorrente, sarebbe stata viziata da ultrapetizione. Infatti, pur essendo stata richiamata nella motivazione della sentenza una scrittura privata concordata tra i genitori, che conveniva che il tempo di frequentazione del figlio da parte del padre non convivente fosse di sei giorni ogni due settimane, di fatto aveva statuito che quest'ultimo potesse vedere il figlio solo cinque giorni ogni due settimane. In pratica, le parti si erano accordate affinché il padre tenesse con sé il figlio tutti i martedì e venerdì di ogni settimana, e a settimane alterne anche il sabato e la domenica. Invece, il Tribunale e poi la Corte d’Appello di Bologna avevano stabilito al di fuori di ogni richiesta delle parti che anche il venerdì rientrasse nel regime dei fine settimana alternati. Di fatto, quindi, il padre si era ritrovato a perdere un giorno ogni due settimane, non potendo più stare con il figlio nei venerdì nei quali non avrebbe potuto tenerlo anche per il fine settimana susseguente.
La Suprema Corte, pur ribadendo che non si possa parlare di vizio di ultrapetizione, non essendo il giudice di merito vincolato agli accordi tra le parti, ha affermato che è in ogni caso necessario che il discostamento da tali accordi sia ampiamente motivato nel supremo ed esclusivo interesse del minore. Nella specie, al contrario, la decurtazione del calendario risultava del tutto immotivata, in quanto dagli atti del processo non solo risultava che si trattasse di un accordo esplicito in precedenza rispettato tra le parti, ma anche che la madre avesse espressamente riconosciuto la natura soddisfacente di tale intesa.
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