Tempi duri per le famiglie proprietarie di più di una casa. Non solo per il Covid che, specie nel corso delle ultime festività, ha diviso i nuclei familiari probabilmente assai più del dovuto e del ragionevole. La voracità del fisco nei confronti delle famiglie proprietarie di immobili sta infatti tornando a farsi sentire, e questo rende il quadro generale del periodo ancora più sinistro, se ci si aggiungono le voci sulla imminenza di una imposta patrimoniale per recuperare la crisi di gettito indotta dall’emergenza sanitaria.
Come già ipotizzabile dai tempi della ordinanza di Cassazione n. 20130 del 24 settembre 2020, che aveva peraltro ripreso un paio di precedenti conformi, stanno infatti per iniziare i recuperi a mezzo cartella esattoriale dei tributi IMU non pagati da parte dei coniugi che, negli anni scorsi, risultavano residenti in diversi appartamenti di proprietà.
Applicando il criterio restrittivo nella interpretazione delle disposizioni agevolative, la Cassazione aveva infatti confermato che l’articolo 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, prevedendo che “per abitazione principale si intende l’immobile… nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, porta necessariamente a concludere che, quando marito e moglie non risiedono anagraficamente nella medesima unità immobiliare, nessuno dei due immobili di rispettiva residenza può essere considerato come abitazione principale ai fini della esenzione IMU, e quindi l’imposta deve essere applicata su entrambe le case.
Basandosi su questo precedente, il comune di Bologna ha appena annunciato di stare cominciando a recuperare l'IMU non pagata sugli immobili di coniugi con residenza separata, per adesso a partire dal 2015. L’assessore al bilancio competente riferisce che, per ora, si tratterà di 106 cartelle esattoriali per un totale di 143 mila euro complessivi. A Bologna sarebbero 2.275 i residenti in casa di proprietà con il coniuge che risiede in altro comune. Nei confronti di questi l’assessore ha pure accennato a un certo rammarico “perché il periodo è difficile”, ma ha annunciato di non poter fare altro “per una questione di equità e di rispetto della Cassazione”, e per evitare il rischio di danno erariale a proprio carico.
Va da sé che da parte dell’associazione dei proprietari immobiliari è subito stata annunciata una raffica di ricorsi, per far cessare l’automatismo di questa interpretazione. L’equità in questi casi, infatti, è perlomeno dubbia, specie se applicata in maniera retroattiva. Sono molti i casi in cui la diversa residenza dei due coniugi risulta motivata da effettive esigenze lavorative, e la dimora abituale della coppia si trova effettivamente in luoghi diversi. Appare quindi vessatorio pretendere - perdipiù in modo retroattivo - che la residenza familiare rimanga in un solo immobile per evitare di perdere completamente il beneficio. Tant’è che, quando anche il secondo immobile è di proprietà del coniuge ivi residente, il tributo sarebbe applicato in maniera doppia come se per il solo fatto di essere sposato non si possa dichiarare di essere nella propria “prima casa”. Non rimane che concludere che, come al solito, si dimostra in queste situazioni l'atteggiamento di sfavore per la famiglia del nostro legislatore. Infatti, non solo le coppie sposate vengono penalizzate rispetto a quelle conviventi di fatto, che rimangono autorizzate a non pagare l’IMU nelle rispettive prime case, ma addirittura rispetto alle coppie legalmente separate o divorziate. La separazione coniugale, infatti, anche quando - come talvolta accade - è motivata soltanto da fini elusivi, continua se non altro a essere inattaccabile da questo punto di vista. Una “simulazione di separazione” è assai difficile da provare, e secondo alcuni precedenti giurisprudenziali è pure da escludersi in principio. Ancora una volta, pertanto, la voracità del fisco nei confronti della proprietà immobiliare sta producendo esiti costituzionalmente assai dubbi. Non solo per la retroattività - che sarebbe peraltro esclusa dallo statuto del contribuente - ma anche per l’oggettiva aggressione verso le ragioni della famiglia, con buona pace dell’art. 29 Cost.. Nell’era dei dpcm anti-Covid, comincia a diventare evidente anche e soprattutto sul piano fiscale che, una volta che si è abdicato alle libertà essenziali - producendo enormi danni al tessuto economico e sociale - uscire dalla situazione creatasi senza altre enormi rinunce sul piano dell’equità costituzionale sarà ancora più difficile.
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