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Immagine del redattoreStudio Legale Fiorin

La Cassazione torna sull'alienazione parentale, e si conferma non necessaria una "diagnosi" di PAS.

Ecco qui una nuova sentenza della Cassazione sul tema dell’alienazione parentale, che probabilmente verrà utilizzata - a sproposito - nel tentativo di riprendere le annose polemiche riguardo alla “scientificità” del concetto, che invece anche grazie a questa decisione possono ormai ritenersi a buon diritto superate.

La sentenza n. 13274, depositata Il 16 maggio 2019, ha cassato con rinvio una sentenza della Corte d'Appello di Venezia rientrante nell'orientamento prevalente da qualche anno in quell'ambito territoriale. Infatti, secondo una corrente di pensiero diffusasi per la prima volta in Italia tra i periti d'ufficio e i magistrati veneti, a fronte dell'accertamento di fenomeni qualificabili espressamente come di “alienazione parentale”, può essere opportuno e talvolta necessario disporre la revoca dell’affidamento condiviso e l’inversione della collocazione del minore. Questo accade se le condotte ostili del genitore affidatario risultano particolarmente gravi per intensità e frequenza verso l'altra figura genitoriale, divenendo tali da aver generato sul figlio una immotivata tendenza all'evitamento della stessa. Il fine di detti provvedimenti di inversione dell'affidamento è propriamente quello di consentire la cessazione delle condotte alienanti e il riavvio dei contatti con il genitore alienato.

Nella fattispecie, era stato stabilito dai giudici di merito un previo periodo di ambientamento del minore presso una struttura protetta, non essendo consigliabile l’immediato reinserimento presso il padre, pur essendosi ritenuto comunque necessario e urgente allontanare il figlio dalla sfera di influenza dell’altro genitore.

Tra i motivi di ricorso in Cassazione di quest’ultimo, prevedibilmente, vi è dunque stata la pretesa “mancata verifica della attendibilità scientifica della teoria posta alla base della diagnosi di PAS”, e la conseguente mancanza di motivazione della qualifica di un genitore come “alienante”. La Suprema Corte è dovuta tornare così sulla ormai frusta questione della scientificità della “sindrome di alienazione parentale”, ma non ha avvalorato in alcun modo la rilevanza della pretesa insussistenza o della non accertabilità scientifica del fenomeno alienativo.

Infatti, di fronte della "mancanza di consenso della comunità scientifica riguardo alla natura della PAS", e soprattutto della sua diagnosticabilità come disturbo psichiatrico, la Cassazione ha esplicitamente confermato che il giudice del merito può prendere decisioni di allontanamento del minore anche a prescindere da questo problema, “basandosi sulle proprie cognizioni scientifiche (Cass. n. 11440/1997) oppure avvalendosi di idonei esperti”. Quello che conta è che il giudice è comunque “tenuto a verificare il fondamento” delle teorie che applica.

Ciò dimostra ancora una volta che il conflitto sulla esistenza della sindrome di alienazione parentale, dibattuto in dottrina e in giurisprudenza ormai da decenni - con una chiara derivazione statunitense, fin dai tempi del comparire degli studi di Gardner al riguardo - non è rilevante nelle decisioni sull'affidamento, se il giudice riesce a accertare che l'alienazione si presenti come un “fenomeno” caratterizzato da una serie di indizi di fatto, che a buon diritto, anche grazie al supporto dell’opinione dei consulenti, possono essere posti alla base della decisione sull'affidamento.

Quello che conta è che tali indizi vengano adeguatamente verificati dal giudice e non demandati all'opinione del CTU, e che possa essere motivata la loro rilevanza nociva rispetto all'interesse del minore a mantenere un rapporto sereno ed equilibrato con entrambe le figure genitoriali.

La Corte di Cassazione nella sentenza in esame ha così confermato che a fronte di indizi di “comportamenti dell’altro genitore affidatario o collocatario” indicati come “significativi di una PAS”, il giudice di merito “è tenuto a accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti utilizzando i comuni mezzi di prova”. Basta dunque che gli accertamenti effettuati rivelino l'esistenza di questo fenomeno, “a prescindere dal giudizio sulla validità o invalidità scientifica della patologia”.

Ciò che conta, secondo la Corte, è il principio per cui “tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”. Dunque, ancora una volta, si conferma che i provvedimenti di allontanamento dal genitore responsabile non sono viziati in sé e per sé dalla pretesa antiscientificità del fenomeno, e quindi dall'impossibilità di sostenere un giudizio clinico che qualifichi un genitore come “alienante” e l’altro come “alienato”. Occorre tuttavia che l’accertamento dei comportamenti potenzialmente dannosi per il figlio sia sufficientemente esplicitato e motivato.

La Cassazione in questa sentenza ha aggiunto che a tal fine il giudice può avvalersi dei “comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia, incluso l'ascolto del minore”, e può anche “operare delle presunzioni, desumendo degli elementi dalla presenza del legame simbiotico e patologico tra il figlio di uno dei genitori”.

La sentenza di provenienza è stata dunque cassata con rinvio, ma unicamente perché la Corte di Appello di Venezia pareva avere accolto le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio in maniera troppo acritica, senza verificare questi accertamenti di fatto.

Un altro motivo di ricorso accolto riguardava il tema del mancato ascolto del minore, che in giurisprudenza tende sempre più a essere ritenuto necessario anche per gli infradodicenni. Nella specie il figlio aveva varcato il limite dei dodici anni in corso di causa, ed era stato ascoltato unicamente in sede peritale. La sentenza ha quindi confermato che l’ascolto del minore non può essere omesso, anche prima dei dodici anni di età, senza una adeguata motivazione sui motivi per i quali il bambino per l’appunto non venga ascoltato dal giudice, o per i quali l’ascolto venga demandato ai periti. Ciò in quanto l'audizione è una “caratteristica strutturale del procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l'interesse del minore, e raccoglierne le opinioni e bisogni in merito alla vicenda di cui è coinvolto”.

In definitiva, quindi, sono stati confermati tutti i principi giurisprudenziali già esistenti che ammettono la possibilità di intervenire sull'affidamento esclusivo a favore di un genitore, in caso di accertamento di una condotta fortemente alienante. Anche in questo caso, è stato semplicemente stabilito che le motivazioni in fatto non devono rinviare al controverso giudizio sulla natura della “sindrome” di alienazione parentale, ma devono basarsi su un accertamento anche solo indiziario del fenomeno di alienazione, motivando adeguatamente come i fatti accertati comportino un’incidenza grave sull'interesse del minore a conservare rapporti significativi e equilibrati con entrambi i genitori.



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