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Immagine del redattoreStudio Legale Fiorin

Una madre che induce la figlia a mentire riguardo al padre può perdere l'affidamento condiviso.

Un’ordinanza della Cassazione (n. 3028 dell’11 dicembre 2019, grazie a Cassazione.net per il testo) ha confermato una decisione della Corte d’Appello di Bologna, stabilendo un principio importante riguardo a situazioni che purtroppo si verificano non di rado nelle separazioni altamente conflittuali.

Si è infatti stabilito che in una causa sull’affidamento dei figli, laddove dal complesso degli accertamenti peritali emerga che un minore sia stato "manipolato" da un genitore riguardo alle dichiarazioni da fare a periti e giudici, per essere stato indotto a mentire riguardo alla situazione in cui si trova quando soggiorna presso l’altro genitore, può ravvisarsi in questo atteggiamento di slealtà un motivo sufficiente per disporre l’affidamento esclusivo a favore del genitore ingiustamente denigrato.

La decisione è importante sul piano processuale, perché è basata su dichiarazioni dello stesso minore ritenute pienamente attendibili, ed è stata quindi scoraggiata la tendenza a svalutare la credibilità del minore stesso e la sua capacità di autodeterminarsi quando esprime le sue preferenze riguardo al genitore con cui convivere. Ma è interessante anche sul piano sostanziale, perché la scelta dell’affidamento esclusivo - nella specie a favore del padre - non si è basata solo sul giudizio negativo riguardo all’atteggiamento dell’altro genitore, ma è stata accompagnata da una valutazione comparata del grado di inserimento del minore stesso nel contesto familiare paterno rispetto a quello materno.

Nelle fasi di merito, la Corte d'Appello di Bologna aveva confermato il provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia, che all’esito di un procedimento ex art. 710 c.p.c. aveva disposto l'affidamento esclusivo di una figlia al padre, con collocazione presso lo stesso e regolamentazione del regime delle visite della madre, conferendo ai servizi sociali compiti di vigilanza del rispetto di tali condizioni.

La madre aveva pertanto fatto ricorso in Cassazione, censurando in primo luogo la violazione di fondamentali garanzie processuali, in quanto la Corte d'Appello non avrebbe sufficientemente motivato il rigetto delle censure da lei mosse riguardo alle pretese contraddizioni della CTU. A detta della madre, infatti, l'accusa a suo carico di aver esercitato condotte coercitive nei confronti della figlia minore, che ha comportato la modifica del regime di affidamento in precedenza condiviso, sarebbe stata frutto di una valutazione superficiale dei periti d’ufficio. Al contrario, secondo la difesa della madre, questi ultimi avrebbero dovuto cogliere "i molteplici segnali di inattendibilità della minore, circa la preferenza manifestata al trasferimento presso il padre e il giudizio negativo formulato a carico della madre".

La Cassazione ha tuttavia dichiarato inammissibile questo motivo di doglianza, in quanto la complessiva ratio decidendi della sentenza appariva accurata nella valutazione delle risultanze peritali. La Corte d’Appello infatti aveva dato conto dell’approfondito esame delle dinamiche familiari che avevano coinvolto la minore, sia attraverso una pluralità di interventi di consulenze tecniche, sia attraverso l’esame di registrazioni audio e la trascrizione di messaggi audio che provenivano dalla stessa madre, che hanno finito per giocare contro le tesi della stessa. Tant’è che, con una decisione ritenuta ben motivata dalla Cassazione, la Corte d’Appello aveva ritenuto che “la tesi materna del rifiuto della figlia ad andare a vivere con il padre risultava smentita, essendo risultata attendibile la minore proprio quando aveva riferito dell'induzione messa in atto dalla madre per farla mentire".

Vale a dire che non solo sono stati puniti gli atteggiamenti coercitivi del genitore rispetto al figlio minorenne, a tutela della verità processuale, ma è anche stato deciso che la denuncia di questi atteggiamenti da parte dell’interessato può essere motivo sufficiente per ritenere credibile il minore stesso. Si tratta di un criterio importante - ma anche estremamente delicato - se applicato alla valutazione dell’attendibilità delle deposizioni dei minori. Infatti, si tratta di fonti che in questo tipo di processi si tende a considerare incapaci di autodeterminarsi, e nel contempo estremamente suggestionabili per la loro dipendenza affettiva nei confronti degli adulti.

Ad ogni modo, secondo la Cassazione, la scelta di affidare la figlia al padre è stata determinata non soltanto sulla base delle preferenze espresse dalla stessa, né tanto meno per punire l’atteggiamento scorretto della madre, bensì in ragione del "positivo inserimento familiare e relazionale presso il padre", confermato anche dalle CTU che nel contempo avevano espresso dubbi in ordine all’adeguatezza del contesto familiare materno, segnalando il disagio della bambina, in quanto lo stile di vita della madre aveva comportato il suo totale affidamento a persone che le erano del tutto estranee.




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