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  • Immagine del redattoreStudio Legale Fiorin

Validi gli accordi privati tra genitori non coniugati sul mantenimento dei figli.

La Corte di Cassazione ha “aperto” agli accordi extragiudiziali tra genitori naturali, riguardo alla regolamentazione del mantenimento dei figli. Si tratta di una decisione in linea con la tendenza generale alla privatizzazione dei rapporti familiari, anche se, essendo intervenuta in un caso di filiazione naturale, potrebbe di fatto aprire la strada a una disparità di trattamento rispetto ai genitori coniugati, nei confronti dei quali il principio di indisponibilità dei diritti e doveri familiari, sia reciproci che verso i figli, è ancora molto rispettato.

Con l’ordinanza n. 29995, depositata in cancelleria l'ultimo giorno del 2020, la Suprema Corte ha dunque risolto un conflitto insorto tra le sentenze di merito, rispetto a un caso che al giorno d’oggi è diventato potenzialmente assai frequente, tra le coppie che provano insofferenza per gli obblighi coniugali. Nella specie, una coppia catanese aveva posto fine alla propria convivenza, dalla quale nel 1995 era nata una figlia, decidendo di regolare i futuri rapporti patrimoniali tra loro in quanto genitori, e nei confronti della figlia stessa, con una semplice scrittura privata risalente al 2002. In tale documento era stato stabilito che la figlia sarebbe rimasta a vivere con la madre, mentre il padre avrebbe dovuto versare 520 euro mensili, oltre rivalutazione Istat, sostenendo inoltre tutte le spese scolastiche, sportive e mediche relative alla minore. Si può dire che la coppia non coniugata avesse deciso - in un momento nel quale simili soluzioni erano poco frequenti - di sottoporsi in privata autonomia allo stesso regime che normalmente viene stabilito dai tribunali, in sede di separazione coniugale o anche a seguito di ricorsi ex art. 337 ter cod. civ. per i genitori non coniugati.

Nel caso in esame era successivamente intervenuto, nel 2007, un decreto del tribunale dei minorenni riguardante la potestà genitoriale. Quest’ultimo ufficio non era stato investito di esplicite domande riguardo al mantenimento della minore (anzi, la scrittura privata di cui sopra non era stata nemmeno prodotta), e quindi di fatto aveva stabilito un criterio di mantenimento diretto da parte di ciascun genitore, nei rispettivi periodi di permanenza della figlia con esso.

Poiché, in seguito, il padre aveva iniziato a disattendere alla scrittura privata, nel 2010 la madre aveva ottenuto sulla base di essa un decreto ingiuntivo del Tribunale di Catania, per oltre quarantamila euro di pagamenti arretrati. In sede di opposizione, il decreto stesso era stato tuttavia revocato, con la condanna del genitore inadempiente a pagare soltanto alcune spese straordinarie per la figlia, relative a una fornitura di occhiali e ad alcune spese odontoiatriche. Il tribunale etneo aveva infatti ritenuto, in sede di piena cognizione, che a ben vedere la scrittura privata che forniva la prova del credito dovesse ritenersi nulla, in virtù del principio della indisponibilità del diritto-dovere in questione.

Secondo quest’ultima interpretazione si doveva ritenere che, specialmente dopo la legge n. 54 del 2006 e i successivi interventi che hanno equiparato la condizione dei figli naturali rispetto a quelli delle coppie coniugate, tutte le questioni connesse all’esercizio della potestà, compreso il regime del mantenimento, dovessero passare per il vaglio del giudice.

In seguito, la Corte d'Appello di Catania ha invece riformato la decisione del tribunale, condannando di nuovo il padre inadempiente a pagare l’ingente somma arretrata. La questione è giunta così al vaglio della Cassazione, ed è stata risolta nel senso della validità e della coercibilità degli obblighi di mantenimento assunti per semplice scrittura privata, senza alcun intervento del giudice.

La Suprema Corte ha infatti ricordato che l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole previsto dall’articolo 147 cod. civ. è valido allo stesso modo sia rispetto alla filiazione naturale che nei confronti dei genitori coniugati. Del resto, come ha argomentato l’ordinanza in esame, è indiscusso che il genitore che non ha riconosciuto il figlio alla nascita rimanga lo stesso obbligato al suo mantenimento anche per il periodo antecedente alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale. Questo anche nei casi in cui l’altro genitore, nel frattempo, avesse provveduto per intero ai relativi oneri, in quanto il diritto del figlio a essere mantenuto sorge nei confronti di entrambi i genitori fin dal momento della nascita.

Ora, secondo l’ordinanza in esame, il regime previgente dell’articolo 317 bis del codice civile sulla potestà dei genitori naturali, applicabile alla fattispecie in quanto riferita al periodo precedente al 2014, non doveva ritenersi violato da un accordo privato sul mantenimento dei figli indipendente dall’intervento del giudice. Infatti, anche se la previgente regolamentazione della potestà genitoriale autorizzava che con essa venisse disciplinata, tra le altre, la questione del mantenimento, non si poteva trarre dalla norma alcun argomento sulla illegittimità dei degli accordi privati al riguardo. La Suprema Corte ha richiamato sul punto la sentenza delle Sezioni Unite n. 5847 del 25 maggio 1993, nella quale si era stabilito che, mentre nel caso di separazione o di divorzio era presupposto un preventivo intervento del giudice in ordine all'affidamento dei figli (ai sensi dell’art. 155 cod. civ. o dell’art. 6 della legge 898 del 1970), nel caso di cessazione della convivenza dei genitori naturali - ovvero nel caso che gli stessi non avessero mai convissuto - l'articolo 317 bis cod. civ. serviva unicamente a porre dei criteri attributivi sull’esercizio della potestà. In questo contesto, però, l'intervento del giudice poteva essere esclusivamente successivo ed eventuale, nel caso di cattivo funzionamento dei criteri, per così dire, naturali sull’esercizio della potestà stessa.

Il fatto che la disciplina del mantenimento della prole non fosse stata espressamente prevista nella norma relativa alle questioni de potestate, dunque, secondo la Cassazione non implicava l’illiceità degli accordi privati sul mantenimento dei figli naturali. Anzi, al contrario, la stessa norma attestava la liceità di simili accordi, se e in quanto rispondenti all’interesse della prole stessa, in attuazione di un obbligo già stabilito ex lege.

Nell’ordinanza in esame le argomentazioni del padre non sono state accolte nemmeno riguardo al fatto che il decreto del 2007 del tribunale per i minorenni, a suo dire, avrebbe imposto di considerare superato l’accordo intervenuto tra le parti. Infatti, secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello remittente aveva puntualmente esaminato la questione e aveva ritenuto, con adeguata motivazione, che la mancata sottoposizione della scrittura privata al vaglio del tribunale per i minorenni, unita al fatto che anche successivamente al decreto di quest’ultimo il padre avesse continuato a pagare diverse rate di contributo fisso, consentiva di ritenere la scrittura privata non assorbita dalla decisione de potestate.

Ha sostenuto infatti la Cassazione che, dopo il decreto del tribunale per i minorenni, ciascun genitore avrebbe comunque potuto ricorrere ex art. 148 cod. civ. al tribunale ordinario, per ottenere un provvedimento giudiziale relativo al mantenimento dei figli, senza che questo comportasse una rinuncia al diritto di recuperare le mensilità non corrisposte per il passato.

In definitiva, quindi, l’ordinanza in esame ha aperto le porte all’autonomia privata dei genitori non coniugati in ordine alla questione del mantenimento, e indirettamente ha anche reso possibile una disparità di trattamento rispetto ai genitori coniugati. Questi ultimi, infatti, in ossequio al principio dell’indisponibilità dei diritti e doveri reciproci verso i figli - che discende dalla considerazione che la Costituzione tuttora affida al matrimonio e alla famiglia - in sede di separazione coniugale o di divorzio continuano ad avere forti probabilità di vedersi opposta la nullità degli eventuali accordi intercorsi tra di loro. Questo anche se, sulla base degli stessi principi, non dovrebbe più essere escluso che, in caso di separazione di fatto in un periodo antecedente alla decisione del giudice al riguardo, gli eventuali accordi privati scritti intervenuti tra le parti vengano ritenuti validi come prova per il recupero giudiziale degli arretrati.




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